domenica 23 maggio 2010

il Giro

Entrambi i genitori e i fratelli più grandi, tutti sostenitori dei ciclisti dell’epoca. Gimondi, Adorni, il grande rivale straniero Merckx, tifo in casa e il processo alla tappa un appuntamento fisso.
Ma quando il Giro d’Italia passava vicino a casa, per la grande arteria che collega Mestre a Treviso, allora era festa, festa grande. Alla mattina presto si prendeva postazione al lato della strada alberata. Nel frattempo si discorreva, si giocava, invadendo anche la carreggiata.
Poi cominciavano a passar le moto, si scrutava allora in fondo alla strada, si vedeva aumentare il fermento e l’attesa.
Quasi inaspettatamente, tempo l’attimo di un fulmine, ecco il gruppo, le bici sfrecciavano attaccate una all'altra, tanta attesa e in un minuto era già passati tutti. Battimani e saluti urlati. La festa in un attimo era già volata da un’altra parte.
Stamattina in centro cittadino, nessun sprint, solo un giro coreografico. La gara sarebbe partita poco dopo, sempre su quella strada dritta di allora.


11 commenti:

  1. Io negli anni mi sono disinnamorato del ciclismo e in pratica ora non lo seguo quasi per niente.

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  2. Più che l'istantaneo passaggio della corsa, mi sa che è proprio la lunga emozione dell'attesa a rendere il Giro un appuntamento tanto amato, anche da chi generalmente non segue il ciclismo.
    E' tenero il tuo ricordo. :)

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  3. Ho pensato anch’io di fare un giro in centro, ieri mattina, vista la luminosità del cielo e l’apertura delle librerie. Nell’aria tersa della primavera inoltrata la quantità di biciclette in circolazione metteva allegria. Erano proprio tante, sempre di più. Data la scarsa cultura ciclistica (sono nato in una città piena di dislivelli e a dispetto delle leggende assai piovosa), la moltitudine pedalante mi pareva pacificamente uniforme. Eppure c’era nell’aria qualcosa di diverso, qualcosa che acuiva un fenomeno in atto la cui natura però mi sfuggiva. Le prime pattuglie dei vigili urbani, incontrate nella direzione di marcia ormai sempre più obbligata, iniziavano faticosamente a collegare i miei distratti neuroni, tutti tesi all’obiettivo di aggirarmi mollemente tra libri e carte geografiche. Doveva esserci un raduno, senza dubbio, o una qualche manifestazione. Una serie di palette protruse da uniformi e finestrini mi conduce al solito parcheggio in cui lascio il veicolo a metano, l’automobile con cui sottoscrivo il mio patto di convivenza con l’ambiente. Ma è un parcheggio obbligato, militarizzato. E una volta lasciata la macchina in un rettangolo blu mi spingo tra pedali e canottiere sino al semaforo pedonale. Attraversare l’ultima arteria per guadagnare la zona a traffico limitato si rivela improvvisamente un passaggio di frontiera. Veniamo raccolti a gruppi e poi sganciati in sequenza, manipolati da organizzatori efficienti che con mandriana competenza gestiscono il guado di quella che mi rendo improvvisamente conto essere una transumanza. Ci incrociamo con colonne di auto cariche di bici, e qui persino io mi accorgo che c’è una gara imminente. Mi fermo in Riviera Magellano nel primo bar dopo l’accademia della stecca, superata l’osteria con mozzarelle in carrozza e cicchetti di pesce. Qui gli avventori sono cinquantenni in pantaloncini ciclistici e barba non fatta, tutti con una speciale luce nello sguardo etilicamente sportivo. In piazza Ferretto campeggia un’enorme palco rosa con una scritta che risolve l’arcano. Giro d’Italia.
    Mi blocco per un istante. Un po’ perché c’è una famiglia in assetto balneare, che mi precede stazionando rapita nel sottoportico intasato, un po’ perché vengo assalito da un dubbio interiore che modifica il mio stato mentale. La domanda è la seguente. Si uscirà mai, per me, da quel parcheggio? Il primo poliziotto che incontro mi dice che non ne ha la minima idea, e reinvia il quesito alla polizia municipale. Che io non trovo, assolutamente, a parte alcune macchine d’ordinanza parcheggiate di traverso negli incroci vitali a chiudere il traffico. Eppure il catenaccio all’italiana mi sembrava una metefora calcistica. Il problema è sempre quello, non leggo abbastanza. O non la Gazzetta dello Sport quanto dovrei. Mi avrebbe certamente aiutato a organizzarmi, a dissuadermi dal venire al centro in auto. E soprattutto mi avrebbe chiarito l’aspetto fondamentale della giornata: dove e quando si corresse mai la benedetta tappa del glorioso giro.

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  4. Il giro è sempre un evento ma senza il dualismo tra grandi corridori perde di fascio.
    E' da un po' che manca questa emozione.

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  5. @Du, è uno sport che ha subito molti "inquinamenti"... capisco bene perchè ci si possa allontanare!

    @Ross, si infatti, son bei ricordi. Ciao cara :)

    @Sound, una bella avventura la tua...quasi spassosa direi :) per la precisione la partenza vera della tappa partiva dalle caserme matter sul "glorioso" Terraglio (glorioso solo perchè ha visto i miei natali hehehehe)

    @Carlo, vedo che segui... :)

    @Caigo, concordo in pieno, io voglio tenere per qualcuno! a presto ;)

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  6. Il Giro, ma anche il Tour, piacciono, nonostane tutto (doping, campioni spariti, polemiche ecc.) per molti motivi: il paesaggio, la libertà della bici, certe salite, certi colori ... o no? Bella la foto con sofondo rosa, è tua?

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  7. @Al, già, quello che dici piace ancora :)
    Si, la foto è mia, virata rosa, in onore al giro hehehe...

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  8. Ho parlato pochi giorni fa del mio essermi allontanato dal ciclismo per via del maledetto doping... Resto dell'idea che oggi non ci sia più la purezza di uno sport che ritengo tra i più belli al mondo.

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